Sotto a chi “tocca”…

Nell’ articolo precedente ho iniziato a parlare della modalità terapeutica del contatto.

Prima di analizzare il fenomeno bisogna incominciare ad inquadrarlo nella sua dimensione di complessità interpretativa: abbiamo un punto di vista fisiologico, psicologico-relazionale, antropologico… quindi possiamo dire di trovarci davanti ad un fenomeno sistemico e come tale va analizzato e interpretato.

Per prima cosa cominciamo dall’ etimologia della parola. Contatto deriva dal latino “contactus” che è il participio passato di “contigere”, composto da cum=insieme e tangere=toccare e rappresenta il toccarsi vicendevole di due corpi. Possiamo notare che la parola ha la stessa etimologia della parola contingente che esprime qualcosa di non necessario e dalla parola contagio che esprime spesso il significato di influenza malefica.

Quindi sorge la domanda: che cos’è che rende questo “toccare” benefico nel contatto terapeutico?

FISIOLOGIA DEL CONTATTO

L’ organo principale del tatto è la pelle, in questo insieme di tessuti sono disposti i sensori che danno la forma bruta della sensazione. Ma questi sensori, che prendono il nome di recettori, non sono presenti solo nella pelle ma anche nel tessuto connettivo di tutto il nostro corpo. Questa rete che ci avvolge si comporta come un organo al pari di tutti gli altri organi che siamo abituati a conoscere e prende il nome di “fascia“. Tradizionalmente si riconoscevano delle funzioni alla fascia (tixotropia, piezoelettricità, ecc.) che spiegavano in modo meccanicistico, ma a mio avviso non esaustivo, il comportamento della fascia in risposta al contatto. Studi più recenti hanno messo in evidenza come il comportamento della fascia, in risposta a stimolazioni dei recettori presenti in essa, obbedisce a leggi più complesse.

Innanzi tutto bisogna dire che modalità di contatto diverse innescano risposte in recettori diversi che a sua volta innescano diverse risposte sistemiche (neurovegetative, ormonali, immunitarie, ecc.). In modo estremamente semplificativo basti considerare come opportune modalità di contatto possono aumentare i livelli di ossitocina. Questo ormone comunemente noto come “l’ ormone dell’ amore”, oltre a favorire le interazioni sociali, aiuta a ridurre la pressione arteriosa e i livelli di cortisolo (ormone dello stress), aumenta la soglia del dolore e riduce l’ansia.

Ma l’ aspettto interessante da un punto di vista della terapia manuale è la capacità che ha la fascia di modificare la forma e la densità in risposta al sistema neurovegetativo: un campo autoregolante che comprende complesse dinamiche di comunicazione in continua riorganizzazione che viene coinvoloto nei rapidi mutamenti della fascia che si verificano durante la terapia manuale. Il contatto terapeutico si configura in tal senso come un continuo scambio di informazioni tra sistema neurovegetativo/fasciale del paziente e la mano esperta dell’ operatore che si muove in “ascolto” dei così detti parametri TART (acronimo inglese che sta per Tenderness, Asymmetry, Range or motion abnormality, Tissue texture changes) ovverò dolorabilità, asimmetria, range di mobilità, cambiamenti tissutali. Un vero e proprio dialogo senza parole che si fa spazio nella dimensione del sentire e ne fa la condizione necessaria e sufficiente… ma noi non ci accontentiamo perchè oltre a sentire vogliamo capire e nel prossimo articolo analizzeremo altri aspetti del contatto…

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